“Perché tu mi hai sorriso”
di Paola Calvetti
Perché tu mi hai sorriso è un intenso monologo tra Nora, la protagonista, e sua madre morente.
Nora vuole fuggire da chi le vive accanto e che sospetta menta da sempre. Lei non sa su cosa, ma il dubbio la opacizza tanto da non sentire più piacere neanche nel restauro, arte per la quale aveva rinunciato alla frustrante carriera di insegnante. Desiderosa di verità, approda alla casa della sua infanzia per iniziare da lì un suo percorso conoscitivo camminando all’indietro, come un gambero, nella sua esistenza, a cominciare dalla conoscenza completa di sua madre, la donna cui ora dovrà prepararsi a dirle addio. Sarà una prova generale per quando dovrà capire chi è suo marito, chi è sua figlia e, forse, separarsi anche da uno di loro.
“Sarà la mia estate con mia madre, la incontrerò per fare un tentativo, per riprendere una preghiera interrotta… è l’ora tranquilla, quella che dal traslocare del mattino migra verso il pomeriggio e porta al passaggio meditato della sera, slavata come un volto struccato. Fra poche ore la mia visione cambierà e sentirò le strisce di sole, ancora tiepido al centro della valle, che cola come gelatina”
Quando arriva è contenta che non ci sia nessuno a darle il benvenuto, lei è lì per scartavetrarsi di dosso ogni ipocrisia, anche quella cerimoniosa dell’accoglienza.
“Le teiere della nonna mi guardano dalla credenza con occhi piccoli come chicchi d’uva, insieme alle coppe per la macedonia e ai barattoli di latta comprati al mercato delle pulci. Un bric – a – brac che accontenta il mio bisogno di silenzio da tenere addosso come una coperta”
Quando si avvicina a sua madre non prova pietà per lei, non ancora, ma sa bene che presto assaporerà ogni gradazione di amore filiale. Passano le ore e lei guarda quel corpo da ogni angolazione e con ogni tipo di luce che proviene dalla finestra. E’ proprio quel corpo inerme che la esorta a parlare di loro due e di tutto quello che lei non è mai riuscita a dirle.
“Come hai fatto, tu, senza papà? Avevi la mia età quando è successo e hai vissuto nel rancore per quella ingiusta mutilazione. Mi avvicinavo e c’era un lampo nel tuo sguardo, nessuno scalfiva l’impenetrabile iceberg della giovane vedova. Vorrei avere la possibilità di mettere un po’ di ordine, raddrizzare i tuoi torti e lasciare i miei liberi di respirare, devo diluirli per regalarmi la coscienza leggera del disimpegno. Mi sto sforzando, ti tendo la mano come una mendicante ma tu resti una maschera inespressiva “
Come fare per conoscere bene una persona che ormai è quasi rigida nella sua pre – morte ? Cercandola nei suoi oggetti, nelle sue foto, nei suoi dischi, nei suoi vestiti, nei suoi libri si risponde. Così da inizio a questa sorta di ricerca. In questo suo giocare a mosca cieca, Nora trova un certificato che reca la sua stessa data di nascita ma un nome diverso. Chi è che è nata nel suo stesso giorno ? Una gemella ? E ora dov’è ? E perché non ne ha mai saputo nulla ? Sua madre non può risponderle più ormai, non le rimane che investigare da sola. Congettura su congettura cerca ovunque la verità tra parrocchie, uffici comunali e vecchi vicini di casa, ma quella maledetta non emerge. Stanca e delusa se ne torna da sua madre, si accuccia di fronte a lei e le pensa tutte, arriva persino a immaginarla assassina mentre uccide questa fantomatica sorellina. Il corpo inerme di sua madre, incapace di difendersi, le fa immaginare un processo in cui è lei che tenta di salvare sua madre, dando una giustificazione valida a intenerire la giuria.
In questo processo immaginario in realtà è lei che vuole indagare su sua madre ed è da lei che vuole una risposta accettabile che le cancelli dalla mente l’inaccettabilità di una scelta che ha potuto compiere tra lei e la sua gemella.
Si, ormai è certa che c’era una gemella.
La realtà è cruda non tanto per la scoperta quanto per il fatto che non saprà mai nulla di questa creatura che è nata insieme a lei ma poi è scomparsa, l’hanno cancellata, buttata, venduta, data in adozione e chissà cos’altro. Certo è che lei non ne ha alcun ricordo, né se ne è mai parlato, né di lei si è trovato alcuna traccia negli anni a venire, eppure sua madre ha conservato un certificato di nascita.
Passano i giorni, la coscienza della cruda realtà è entrata in lei, non potrà mai sapere cosa è successo quel giorno in cui è nata, e con lei è nata anche un’altra creatura.
Ad un’altra certezza giunge Nora: se fosse morta, o subito o dopo, l’avrebbe saputo da sua madre stessa.
E allora? In una delle tante notti insonni, vicina alla madre, ipotizza che alla nascita di due creature sua madre per qualche motivo sia stata costretta a fare una scelta. Guarda quel volto morente e si domanda come abbia fatto. Non può dire addio a sua madre in questo modo, sarebbe insanabile, ma le sa come si lenisce uno squarcio.
Le carezza il viso e immagina sua madre che, con un filo di voce, le dice il perché della sua scelta.
“Perché tu mi hai sorriso Nora …”
Tutto qui. Un sorriso può fare scaturire una scelta, e lei si convince che è stata la scelta giusta.
È così che la assolve, mentre ancora respira.