Orchestra, femminile singolare
L’arte del silenzio delle voci per dare suono soltanto alle note
C’è una cosa, una su tutte, che ho imparato vivendoci in mezzo: le orchestre sono il paradigma umano di una società possibile. Complementare, inclusiva, governata dalle leggi del merito e sorrette dalle fondamenta della ispirazione che non è solo puro esercizio intellettuale ma sforzo al sacrificio costante. Le orchestre sono una cellula viva. Penetrabile da ogni impulso esterno ma mai del tutto assorbibile. In orchestra tocca entrarci in punta di piedi, chiedendo permesso, pur avendo tutti noi, nelle sue creazioni, piena cittadinanza.
Nelle orchestre vigono una forte gerarchia riconosciuta, l’obbligo all’ascolto dell’altro, il principio per cui neppure il più talentuoso dei solisti può fare a meno della comunità musicale al quale appartiene. In pratica, sulla carta, la perfezione.
Dalla sua fondazione, accompagno la pioneristica avventura dell’Orchestra Filarmonica di Benevento: settanta elementi a formazione completa, un direttivo composto dagli stessi giovani professori d’orchestra, sei stagione lirico-sinfoniche e operistiche con i più grandi maestri della scena internazionale, realizzate tutte con la sola forza della musica, del pubblico, di una piccola schiera di piccoli mecenati, di qualche realtà istituzionale illuminata.
All’inizio era un sogno rischioso, perché se è vero che, come vulgata dice, senza soldi non si cantano messe, immaginate quanto possa essere improbabile, senza soldi, mettere in piedi una orchestra. In un tempo storico di afasia, chiusure, ridimensionamento anche delle realtà più
antiche. E la lista dei “senza” si infittiva: senza un teatro, senza una istituzione alle spalle, senza esperienza organizzativa, senza una rete di appoggio collaudata. Ma la bilancia non pendeva dal lato delle mancanze. La casseruola dei “con”, per quanto timidi e utopici, era nutrita: con sentimento, con fiducia, con tenacia.
Ho visto musicisti raffinati scaricare sedie e e usare martelli per ogni allestimento, affiggere a mano locandine e programmi dietro ogni porta, spalare il fango dopo le piogge estive, mettere il nastro ai cestini di frutta per i camerini degli ospiti, macinare chilometri per spiegare ovunque del sogno di una corsa. E poi, indossare il vestito più bello, imbracciare lo spartito e mettersi in fila per entrare sul palco. Non c’è nome più vestibile per questo che “vocazione”.
Godo di una prospettiva di privilegio: vivo dentro un’orchestra ma non sono un musicista. Una piacevole debolezza che mi ha consentito di respirare lo stupore ogni volta. Ho raccontato la storia di questa impresa culturale centinaia di volte, ogni volta come la prima, ma col peso dell’esperienza, delle cadute, delle dimenticanze da tenere a mente. Questa orchestra, nata con la direzione artistica e musicale del Maestro Francesco Ivan Ciampa, vede oggi la direzione onoraria affidata a un gigante della scena musicale nel mondo, il Maestro Sir Antonio Pappano, direttore della Royal Opera House di Londra e dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia. È stata diretta dal Maestro Ezio Bosso, in concerti di intensità indimenticata. Ha visto sul podio il Premio Oscar Nicola Piovani, il Maestro Daniel Oren. Ha collaborato con direttori, musicisti solisti e voci di rilievo, tra cui Beppe Vessicchio, Beatrice Venezi, Jessica Pratt, Alvise Casellati, Alessandro Carbonare, Luigi Piovano, Alessio Allegrini, Francesco Lanzilotta, Anna Tifu, Luca Aquino, Vincenzo Maltempo, Francesco Bossone, Michele Campanella. Artisti come Carla Fracci, Giancarlo Giannini, con la Compagnia Balletto di Benevento.
Prima di ogni concerto, passo a sbirciare i rituali di ognuno: la vestizione, il silenzio della concentrazione, gli sguardi complici e dimentichi della fatica, l’accordo. Dietro ci sono storie di famiglia, ore interminabili di esercizio, la pervicacia, il rapporto di amoroso scambio con il proprio strumento.
Vedo giovani donne splendere nelle loro gonne lunghe, sguardo fiero, mano alla corda o fiato pronto. Le vedo orgogliose dell’eleganza che la musica impone loro. Conosco le mani segnate dall’esercizio. Hanno impiegato secoli, le donne, per imporre il nome, la presenza, l’eccellenza nella musica.
Non comprimarie ma protagoniste. Spesso nell’ombra, in silenzio, a scavalcare muri dai contorni irti, con la passione sempre viva. Vedo nelle giovani musiciste di oggi, nel rigore dei loro studi, nell’ambizione dichiarata, il riscatto dei tanti nomi sconosciuti della storia.
Portano in ogni nota suonata anche quella silenziata delle loro antenate.
Nelle immagini d’autore loro dedicate, qui di seguito, con un grazie a Diego Orlacchio, troverete questa forza.
Non a caso, orchestra è sostantivo femminile.
Melania Petriello