“Danubio”

di Claudio Magris

Amante quale sono della narrativa descrittiva, ed essendo io stessa un’autrice anche di narrativa di viaggio, intesa come viaggio anche nella propria interiorità, non potevo non recensire – Danubio – di Claudio Magris, come non potrò non farlo con i racconti londinesi della Woolf e quelli italiani della Warthon, fino ai contemporanei narratori americani. All’apparenza Danubio rientra a pieno diritto nella categoria di narrativa di viaggio: scene di vita, incontri, casualità, descrizioni, c’è tutto.
“Il cielo è azzurro fiordaliso, la luce dei fiumi e delle colline si fonde con l’oro e col marmo carnicino dei palazzi e delle chiese; il bianco della neve, l’odore dei boschi e la fiamma delle acque imprimono una gentilezza delicata e nostalgica alla magnificenza aristocratica degli edifici, riscattano con un’aurea di lontananza le linee chiuse delle cupole”
Se si scava più a fondo però, Danubio diviene un avventurarsi nelle interiorità proprie e altrui, avvalendosi delle culture delle civiltà che l’autore incontra lungo le rive di questo mitico e fascinoso fiume che, contrariamente ai versi di Beck che suggerirono a Strauss il titolo di un suo famoso valzer, non è affatto blu ma giallo fangoso. È quindi anche una ricerca delle diversità che si dispiegano lungo gli argini, del fiume e del mondo stesso, 450 pagine che sono una intera metafora di vita, vita che scorre lenta come i flutti del Danubio, raccogliendo anche gli scarti, quelli dell’ umanità scontenta.
“Il Danubio è spesso avvolto da un alone simbolico antitedesco, è il fiume lungo il quale s’incontrano, s’incrociano e si mescolano genti diverse, anzicchè essere come il Reno, un mitico custode della purezza della stirpe. È il fiume di Vienna, Budapest, Belgrado, il nastro che attraversa e cinge l’Austria asburgica, della quale il mito ne ha fatto il simbolo di una koinè plurima. Il Danubio è la Mitteleuropa”
Questo suo capolavoro Magris lo ha scritto quasi interamente seduto al tavolino di un cafè, con la metodicità scandita giorno per giorno nell’abitudine della sua scrittura.
“Quasi di fronte c’è un altro cafè, il Caffè di Hawelka, leggendariamente fumoso. Di fronte a me un uomo è fermo accanto a un’automobile, con un pacco sotto il braccio, probabilmente un quadro. E’ immobile, il volto rigido e cereo, molto più finto del finto Altenberg del Cafè central, più finto della finta porta dell’Operà”

È così, seduto ad osservare le genti che gli passavano davanti, mescolando i suoi ricordi di viaggi e le sue emozioni lì provate, che Magris ha convogliato la sua letteratura alle altre nel grande calderone della mitteleuropa.
“Un viaggio dal noto all’ignoto, ma anche dall’ignoto al noto, a un ignoto di cui ci si appropria”
L’essere nato in un luogo di confine come Trieste, fa di Magris un viandante con una formazione pluriculturale, curioso di conoscere persone, scoprire luoghi, comprendere i pensieri, imitarne le azioni, nichilistico quasi nel voler ricercare storicamente il senso della vita.
“Forse solo l’amore completo e duraturo che si esaurisce nella soddisfazione immediata, senza illudere e illudersi d’altro, ha una sua verità, mentre la svariata gamma di gradazioni intermedie dei rapporti amorosi, è spesso una serie di violenze abbellite dal kitsch sentimentale. Vienna è il luogo di questi pettegolezzi, il basso ventre della storia, una – stazione metereologica della fine del mondo – come diceva Kraus”
Eccola la differenza che fa di Magris l’autore di narrativa di viaggio, non un autore ma l’autore.
Senza spostarsi, seduto al solito cafè che gli offre la veduta di cui necessita per ricordare, lui ogni giorno viaggia, ritorna là dove è stato e descrive ciò che ha provato vivendo e conoscendo quelle genti, ne viene fuori un palcoscenico svariato di personalità cui lui dà un aggettivo, uno solo, e non occorre altro per far capire quanto conosca il mondo e chi lo popola. E cosa ne pensi lui.
Lo stare seduto al cafè per scriverne, fa capire che in un certo mondo non vuole più passarci, e nemmeno passeggiarci, ma soltanto scriverne. Per lasciarlo agli altri, quelli che non lo conoscono come lo ha conosciuto lui. E glielo lascia volentieri.

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