“L’albergo delle donne tristi”
di Marcela Serrano
Marcela Serrano, grande interprete della scrittura sudamericana, con – L’albergo delle donne tristi – ci fa assistere allo svuotamento interiore che un gruppo di donne, unitesi per caso, riesce a ottenere grazie anche all’isolamento da loro stesse scelto, per qualche mese, sull’isola di Chlòe, nel Cile meridionale.
Elena, psichiatra, donna impegnata sin dalla resistenza nella lotta per la libertà e la democrazia, si ritrova a ereditare una dimora su quest’isola sperduta, fatta di qualche casa e pochi generi di indispensabile necessità. Stanca della vita che si conduce nelle grandi città, decide di continuare la sua professione sull’isola trasformando la sua casa in un piccolo albergo per ospitare soltanto donne, anche famose, accumunate da un’unica matrice di sofferenza dalla quale uscirne: le grandi ferite procurate dall’amore.
Donne quindi spezzate in due dai tradimenti, dalle delusioni, dagli sfruttamenti, dal vuoto del lutto, si perché è un lutto anche quello che si vive quando un amore si imbruttisce o scappa.
O ti rifiuta perché tu rappresenti l’amore e lui non vuole conoscerne la bellezza, meno che mai la felicità.
Un puzzle quindi di storie tutte toccanti, tutte autentiche, come lo sono queste donne giunte sull’isola per farsi privare di tutto e far venire fuori le verità, quelle che da sempre negano a loro stesse.
“Il suo obiettivo è quello di guarirci non di cambiarci, perché è proprio il confronto che lenisce le ferite, fa scattare il cambiamento, e questo confronto lo provi semplicemente per il fatto di essere stata accolta senza giudizi, rimproveri. Dolce rifugio dell’anima, recita la preghiera. La totale assenza di ruoli prestabiliti da interpretare, porta lentamente verso la riabilitazione. C’è un raccoglimento in questa casa che mi fa pensare alla misericordia “
La conoscenza delle verità è la cura, la terapia è il colloquio, il confronto, il convivere per fare venire fuori i loro aspetti spigolosi, quelli che ancora ignorano di avere, e andare via con la valigia piena di risposte da portare a casa insieme al ricordo di quel qualcosa che ha dato o ridato loro dignità.
“Si sente riconoscente verso la brezza leggera che le soffia via la stanchezza dal viso e quanto le sarebbe piaciuto potersi sentire sempre così. Poter essere leggera. Floreana si stende sul copriletto a uncinetto, unico lusso qui dentro. Oltre all’armadio ci sono soltanto una cassettiera, un comodino, uno scaffale e un tavolino con una sedia. Per dare un tocco personale alla stanza sistema alcuni libri sullo scaffale e due foto sul comò : una piccola con un bambino che le somiglia, l’altra ritrae un gruppo di famiglia. Vorrebbe non ricordare la terza che ritrae una donna. Pare fissare Floreana con occhi che guardano senza vederla, uno sguardo che tenta di carpire la vita attraverso pupille immobili “
Floreana è la protagonista, le altre ospiti fanno da cornice e a volte da complemento allo srotolarsi della sua sofferenza che lei, grazie a Elena, riesce a lasciare sul pavimento dell’albergo, giorno dopo giorno.
Già dopo una settimana si meraviglia di se stessa per il suo riappacificarsi con la vita.
“Lei non è morta. Può sentire il respiro che fluisce, dunque è viva. Continua a pensare, sono viva. Fissa davanti a se i rami di magnolia, dunque sono viva. La pioggia si, anche la pioggia, se può ascoltare ancora la pioggia, significa che non è morta , significa che la vita non ha ancora deciso di metterla da parte. Dove si nasconde la volontà del Signore ? Il sangue sparso lungo il cammino non si cancella, le strade ne restano impregnate. Sparisce solo dopo che è piovuto”
Le regole della casa sono: niente droghe né alcol, e impegno quotidiano in attività artistiche e domestiche. Ognuna ha un compito, dall’orto alla cucina, dalla spesa al bucato, dal pranzo al rifarsi il letto, qualche ora di libertà e dopo cena tutte in raccolta nel salotto a sorseggiare tisane e raccontare storie. Le loro.
Nude della loro vita che diventa un abito indossato da tutte, cercano risposte, conoscenze, certezze.
“Una volta che si imbocca la strada del sesso non c’è scampo, la pelle, quando è completamente esposta, esige diritti e doveri che fino a prima non esistevano – E’ una versione antiquata, io faccio l’amore e basta – E non aspetti la sua telefonata il giorno dopo ? – No, questo è il nostro dramma, ci aspettiamo la telefonata e se non arriva, ci sentiamo maltrattate, ci sono uomini che rinunciano a portare a letto una donna per il terrore di quella maledetta telefonata”
Come si fa allora a resistere alla voglia di toccarsi l’anima oltre la pelle, prendere un corpo e porlo come oggetto di scambio per dare e darsi, credendosi? Questo è quello che fanno emergere queste donne sera dopo sera: nessuno vuole rischiare. Sembra quasi che si pensi: se non mi faccio sfiorare il cuore, sono salvo. Floreana ascolta e si domanda: cosa potrebbe capitarle di tanto brutto se riuscisse di nuovo ad amare? Non essere amata? E questo è grave? Se lo domanda mentre passeggia, mentre scava patate, mentre va all’emporio e incontra Flavìan, quel dottore che da subito le ha suscitato fiducia per via delle sue mani, mani affidabili che potrebbero reggere qualsiasi cosa, anche la compassione, ma sono mani parche di carezze. Iniziano gli incontri, i desideri, il cercarsi e l’allontanarsi, tutto meno l’amore fisico, quello no, perchè farebbe crollare le barriere.
I tre mesi vengono consumati così e tutte vanno via, diverse da come sono arrivate, mentre le stanze vengono pulite per ricevere altre donne da medicare.
Anche Floriana è pronta ma, non appena sulla corriera sale il conducente, lei scende e prende la decisione.
“Una volta a terra, Floreana solleva nuovamente la valigia come aveva fatto tre mesi prima, quando era arrivata all’albergo. Ne percepisce di nuovo il peso e si mette in marcia, ignorando la fatica perché si sente leggera quando c’è aria di sfida. Non è più tempo di chiedersi dov’è la patria, ormai ha imparato che la patria è il posto dove non si sente freddo”