Elsa Schiaparelli, stilista, fino alla fine del 900
Dalì mi ha ispirato a disegnare un portacipria, un altro artista a creare un cappello a forma di scarpa al rovescio
Ad una prima e iniziale lettura sembrerebbe strano che io abbia inserito un tale nome all’interno di questa chiacchierata (scritta) sul percorso difficile delle donne nel lavoro e nella società, ma non è poi tanto fuori luogo, e lo si capirà alla fine.
La prima parte della vita di Elsa fu difficile, ma io non ne voglio parlare per questo motivo.
Amava la filosofia e la poesia ma la sua famiglia non approvava questa sua tendenza culturale, tanto è che fu mandata in un convento in Svizzera e poi a Londra per costringerla ad occuparsi dei bisognosi, questo era per loro più consono ad una ragazza del suo ceto sociale. Il passo successivo fu il matrimonio, scontato che fosse con un uomo scelto dalla famiglia, e lei si ritrovò sposata con un tizio che non amava e da cui non veniva amata. Sentendosi finalmente libera di decidere da sola e vivere come voleva, scappò di casa portando con sè sua figlia. Non aveva previsto però la malattia, la bambina si ammalò di polmonite, per curarla quindi, senza avere nessuno che la aiutasse, dovette fare un pò di tutto, mestieri di vario genere e anche commerci. E’ proprio per commercio che si trasferì a Parigi e lì, un giorno, ci fu la svolta. Passeggiando per la zona delle grandi boutique insieme ad una sua amica, per puro divertimento o meglio per un po’ di evasione, entrarono in una di queste boutique per misurare alcuni di quei meravigliosi abiti che erano in vetrina, e poi andare via senza acquisti perché naturalmente non potevano permetterselo, avrebbero inventato una scusa. Elsa provò un cappotto, su di lei era perfetto. Quel giorno, in quel negozio c’era anche il proprietario, le si avvicinò e iniziarono a parlare dello stile di quel cappotto, a lui quella donna parve essere una esperta di moda.
Elsa usci da quella boutique senza il cappotto ma con una offerta di lavoro, quell’uomo capì che in lei c’era qualcosa che valeva la pena di mettere alla prova. Insomma entrò una donna qualunque e non danarosa, ne uscì una stilista che sarebbe diventata famosa per le sue incredibili creazioni, e ricca. La sua prima innovazione? Usare il maglione non soltanto per le passeggiate o per la campagna, ma anche per la sera o per l’ufficio o per un cocktail. Creò pullover belli nella forma e colorati. Fu inondata di richieste, di lì a pochi
anni apri una sua maison. Creò il famoso rosa shocking col quale colorò ogni tessuto che doveva poi diventare abito, cappotto, cinta, foulard. Passò poi ad usare un tessuto sintetico con il quale riuscì a confezionare quelli che divennero i suoi abiti simbolo, geometrici. La sua maison si avvaleva della collaborazione di ben 400 sarte, le riviste di moda parlavano di lei e a lei si ispirarono artisti del calibro di Dalì e tanti dei cosiddetti cubisti.
Era quindi una donna ricca e famosa, con un suo nome e una sua realizzazione artistica e professionale, insomma aveva tutto.
Ma poi arrivarono nuovi stilisti, quelli che un giorno sarebbero diventati Dior, Saint Laurent, che ribaltarono lo stile della Schiaparelli proponendone un altro che piacque di più. Le folle che l’avevano osannata e innalzata a regina della moda si spostarono subito verso altri dei da applaudire. Fu così rapido questo abbandono e così totale che Elsa dichiarò bancarotta e chiuse la sua maison.
Visse oltre gli ottant’anni senza che di lei se ne parlasse più, se non tra gli addetti ai lavori, se proprio era necessario.
Molti anni dopo la sua morte, il suo marchio fu acquistato per pochi soldi da un altro stilista emergente che restaurò la vecchia maison e iniziò a produrre li, in quella sede storica, riproponendo i modelli della Schiaparelli ma in veste rinnovata e firmata da lui e da altri stilisti che in quella maison si sono susseguiti. Insomma il suo nome è tornato a circolare ma molto in sordina, sovrastato da altre firme, tutte maschili e di successo. Stessa sorte anche per il suo famoso rosa shocking, tutte le case di moda ancora lo usano ma nessuno dice chi lo ha creato, anzi quasi quasi se ne appropriano come fosse una loro invenzione.
Ed eccoci quindi al motivo della comparsa di Elsa Schiaparelli in questa particolare ricerca femminile. Non è per i suoi inizi tipici di chi deve sacrificarsi per ottenere qualcosa, non è per la prima parte della sua vita che è stata simile a quella di quasi tutte le donne della sua epoca, non è perché poi le sue capacità hanno trovato spazio e lei si è realizzata, anche questo a volte accade.
No, l’ho fatto soltanto per portare un altro tipo di esempio: puoi anche essere famosa quindi ricca quindi idolatrata, ma poi spesso di te non resta quasi più nulla e della tua eredità se ne appropria il genere maschile che, guarda caso, ti cancella. Alla tua morte del tuo nome non se ne ricorda quasi più nessuno, salvo rare eccezioni, mentre alla morte dell’uomo di pari fama, successo e qualità, se ne parlerà sempre, nei libri, a voce, nelle interviste.
Dopo aver letto di lei, ho deciso quindi che d’ora in poi, quando qualche volta
accompagnerò mia figlia in giro per negozi e vedrò esposto qualcosa di rosa schoking, io entrerò e mentre lei misurerà qualcosa io dirò alla commessa:
vorrei vedere quella cosa lì… si quella rosa shocking… si il colore che inventò la famosa Schiaparelli… scusi ? …si il colore… ah ma lei non sa chi lo ha inventato, beh ora glielo racconto…
Mia figlia prenderà qualcosa che come sempre le calzerà benissimo, mentre io lascerò quella cosa rosa shocking sul bancone. Sono troppo sobria per coprirmi di rosa shocking.
Però di quel rosa ne avrò raccontato le origini, e con questa scusante avrò parlato di Elsa.
O meglio, riparlato.
O meglio ancora, avrò fatto sapere che lo ha creato una donna.