Elizabeth Blachwell, medico, primi 900
Se fossi stata curata da una dottoressa non avrei patito certe sofferenze
Fu la prima donna della storia a laurearsi in medicina, insomma è stata quella che ha sfondato le porte blindate delle facoltà di Medicina e ha fatto entrare le gonne sotto il camice bianco. Rimasta presto orfana di padre, con la madre oramai sola e con nove fratelli in casa, dovette adattarsi a tenere lezioni private quà e là, e ad accettare un pò di insegnamenti nelle scuole lontane da casa per guadagnare abbastanza da portare avanti tutte quelle creature, aspettando gli anni in cui almeno alcuni di loro divenuti grandi avrebbero potuto collaborare economicamente. Fu allora che potè decidere della sua vita e, nei giorni in cui si prese cura di una sua amica malata, capì che la sua strada era la medicina. Chiese consiglio ad alcuni medici, le risposte furono più o meno – buona idea, ma impossibile da realizzare … se proprio vuoi, devi travestirti da uomo … –
Queste parole, che avrebbero dovuto dissuaderla, la resero invece più convinta, le mancava soltanto il denaro per potersi permettere gli studi. Così tornò a tenere lezioni private, anche di musica, ma nell’attesa di entrare in una università, già studiava sui testi di medicina che un suo amico medico le prestava, dedicando però la domenica a chi non sapeva nè leggere nè scrivere.
Quando raggiunse la somma necessaria, inviò domande di iscrizione a varie università, ma le risposte furono tutte negative. Tra le tante, una le rimarrà sempre impressa nella memoria: – dovresti convincerti che la donna è stata inventata per essere il braccio destro dell’uomo, quindi è normale che gli uomini siano medici e le donne infermiere –
Ma lei non arretrò, più la rifiutavano più inviava domande di ammissione, sempre respinte, fino all’ottobre del 1847 quando le venne comunicato che il Medical Institute di New York accoglieva la sua richiesta di iscrizione agli studi medici.
Felice, e per questo ingenuamente, iniziò con entusiasmo a frequentare le lezioni. La gioia o meglio l’illusione di avercela fatta durò poco: doveva sedersi distante dagli altri, al suo passaggio doveva sopportare sguardi nemici e parole offensive. Ma lei non mollò e riuscì a laurearsi, quel giorno qualcuno si congratulò con lei e tutta la comunità della sua città di origine festeggiò l’evento. Finita la salita ? Niente affatto. La mandarono all’estero e passò da un ospedale all’altro per tirocini che non si concludevano mai con una assunzione, sfruttata e trattata sempre come infermiera, mai come medico alla pari degli altri. Stanca di sopportare ingiustizie, iniziò a mandare lettere ovunque e a tutti, denunciando quanto una donna a parità di istruzione e preparazione, non viene trattata quanto e come un uomo. Iniziò ad avere parole e gesti di solidarietà e, con collette varie e fatiche d’ogni genere, tornata in America aprì un ospedale condotto soltanto da medici donne. Per sostenere le spese non smise mai di tenere incontri, organizzare concerti e vendite di vario genere, di bussare alle porte di tutti pur di racimolare anche gli spiccioli per tenere in piedi il suo ospedale femminile. Prima di morire nel 1910 sprecò tutte le sue ultime parole per far capire quanto è necessaria la collaborazione e la cooperazione tra i due sessi, nella vita privata e nel lavoro. Sapeva bene che sarebbe stato difficilissimo raggiungere questo traguardo e che forse sarebbero occorsi molti decenni ancora, ma morì con la certezza di aver dato vita ad una nuova era femminile.