Kate Kollowitz, scultrice, metà novecento
Il pacifismo non è un tranquillo stare a guardare ma lavoro, duro lavoro
Cresce con le poesie di Freiligrath che suo padre le leggeva al posto delle favole. Inizia con litografie e acqueforti di tale livello che molti artisti la indicarono per farle ottenere una onorificenza, ma l’Imperatore si rifiutò di concederla ad una donna. E lei cosa fa? Si ribella, urla, si arrabbia?
No, tutt’altro, inizia a scolpire, entra cioè in un territorio quasi interamente maschile. La guerra che le toglie il figlio e il clima di odio che si viveva in quei tempi, la fanno precipitare in anni di inattività. Poi trova l’arma per esporre il suo lutto, togliendolo un pò dal suo cuore, per ben quattordici anni lavora ad un’opera che doveva rappresentare il dolore, straziante ma mesto, silenzioso ma non remissivo, meno che mai rassegnato: un padre e una madre a capo chino, con un corpo accasciato, sfinito dal dolore, avvolti in un silenzio che penetra nelle ferite di tutta l’umanità.
Furono poste nel cimitero militare di Roggevelde ma per arrivare ad esse, bisogna superare tutte le lapidi, uguali e senza nome, dei tanti caduti in guerra. Ciò nonostante le viene concesso di continuare a scolpire ma solo a patto che non esponesse le sue opere, insomma a tutti i costi vogliono tenerla in una sorta di esilio interiore. Lei ancora una volta rispose con la sua arte, si mise a disegnare. Il suo pacifismo mostrato senza mai ripensamenti attraverso le sue sculture, per tutta la sua vita non fu mai accettato.
Ma lei morì sapendo di aver dato tanto fastidio …