Margherita Serra è un’artista di fama internazionale.
Studia all’Accademia delle Belle Arti e si laurea in Architettura al Politecnico di Milano.
Subito le viene assegnata la direzione di un settore del Comune di Brescia, Arte e Cultura, fino al 1994 quando ha il coraggio di lasciare tutto per dedicarsi totalmente alla sua carriera artistica.
La sua biografia è un lungo elenco di cataloghi e monografie scritte sulla sua arte, a partire dal 1987 fino al 2008. Esperti d’arte, italiani e stranieri, si interessano a lei e ne scrivono con entusiasmo mentre continua la sua scalata verso successo e notorietà, uno di questi gradini la porta all’ingresso del Direttorio del gruppo europeo degli Architetti Artisti Ligne e Couleur di Parigi, per farne parte attiva. Vince concorsi, le sue sculture entrano in vari musei, tante vengono collocate in pianta stabile tra piazze, viali e chiese, e al Museo di Arte Contemporanea in Spagna.
Tanto lavoro, tanta esperienza, la conducono nella strada stretta della ricerca di qualcosa che la identificasse subito, una peculiarità che divenisse un tutt’uno con le sue mani e il suo nome, un binomio tra questo inappellabile e lei, e il suo genio. Ed eccolo, l’essenza della sua arte si materializza in un blocco di marmo chiaro, non bianco, dal tono della sabbia più fine, che lei inizia a colpire con scalpello e martello, ogni colpo è un passo verso una forma, la sua forma.
Pensa alle donne, alle costrizioni imposte, ai nostri corpi manipolati e sfruttati, alla nostra carne che altri decidono come debba essere usata, decorata, obbligata.
Ed eccolo lì, il primo dei suoi famosi corsetti prende forma.
Lo carezza, lo liscia, gli toglie ogni minima spigolosità, accentua le rientranze, affina la scalfittura dei ricami, si delizia di fronte al fiocco che sembra un vero nastrino, le stringhe diventano un perimetro, quello oltre il quale poteva andare soltanto all’aiutante nella vestizione e svestizione di queste donne dei tempi dei corsetti, e poi al marito che la famiglia decideva dovesse essere quello giusto. Si, lei è riuscita a mostrare la prigionia del corpo femminile attraverso il corsetto, scolpito però in maniera tale da non apparire funesto, logoro, pesante. No, affatto. Pur essendo un unico blocco di marmo, la sua mano ispirata fa venire fuori un corsetto che appare quasi ricamato quindi soave e leggero, romantico persino, incredibili le realizzazioni perfette delle trine che passano da buco a buco intersecandosi a formare quel famoso intreccio che culmina con un fiocco, e la parte retro, che era rigida perché serviva a dare una forma migliore al busto femminile, ma che in questo caso non sembra affatto rigida bensì morbida come fosse di velo leggero.
Quasi tutti i suoi corsetti sono poggiati su sottogonne in ferro doppio, senza più nulla sopra, meno che mai la solita gonna ampia che si faceva scivolare dal corsetto in giù.
A vederla cosi, spoglia nella sua struttura ferrea, da un lato incrementa quel senso di prigionia del corpo femminile all’interno dell’abito che la moda dei tempi costringeva, ma al tempo stesso anche una sorta di libertà, le lamiere sono distanti tra loro, permettono molto movimento alle gambe, come se l’artista avesse voluto evidenziare che comunque uno spazio libero c’era, ed era nella sottogonna. Se il busto della donna doveva essere inguainato nel corsetto, i fianchi e le gambe potevano muoversi liberamente nonostante fossero coperti da strati di tessuto da parere tendaggi in cammino.
Ed ecco che Margherita restituisce così un po’ di libertà femminile, i suoi corsetti partono dal duro marmo ma diventano delicati, chiari, romantici, femminili, e le sottogonne di ferro restano nude, cosi che è la singola donna a decidere come muovercisi, se vestirle o restarle vuote per farci passare tutta l’aria possibile come ossigeno da incamerare e utilizzare secondo necessità.
Uno di questi famosi corsetti è stato persino esposto da SAKS a New York, e sempre a New York Margherita Serra diventa membro dell’Associazione Sculptors Guild.
Nel 1993 la città di Matera le offre un Sasso, da allora è lì che espone e lavora per vari mesi l’anno, ed io ho avuto la possibilità di conoscere Margherita Serra proprio tra i Sassi di Matera quando, nel luglio di quest’anno, sono stata invitata a presentare il mio nuovo libro di poesie.
Si avvicina a fine presentazione, mi parla delle sue sculture, mi mostra una collana che aveva al collo che riproduce il suo corsetto, toccandola ci tiene a farmi sapere che non la toglie mai. L’indomani io e mia figlia ci rechiamo nel suo spazio lavoro, l’incanto è palese, difficile esprimersi se non dopo aver ingoiato il fiato bloccato: eravamo entrate in un mondo femminile senza corpi, con i rivestimenti nati in un modo ma poi divenuti opere d’arte soave. Ci siamo sentite privilegiate per l’incontro e per la visita, Margherita ci ha aperto la porta della bellezza attraverso i suoi marmi ricamati, noi l’abbiamo ringraziata con i nostri occhi ammirati e complici.
“Mi sono scontrata con artisti maschi, dicevano che avevo le unghie troppo lunghe e che con le unghie lunghe non si può scolpire. Figuriamoci, non solo le avevo lunghe, ma persino dipinte!“
Questa è la frase con cui ha chiuso la sua biografia quando io gliel’ho chiesta e lei me l’ha concessa.
Si, Margherita Serra ha voluto essere tra le nostre Silenziose.
Annamaria Porrino 2024