“Un canto di Natale”
di Charles Dickens
“Un canto di Natale” fa parte della trilogia dei racconti natalizi con cui Dickens mette in evidenza lo stridente contrasto tra la festività per eccellenza, quale il Natale, e la realtà povera e bisognosa della sua epoca, interpretando con il suo linguaggio fiabesco, quello che ha in sé tutti gli aspetti del melodramma. L’eterno conflitto tra ricchezza e povertà, sfarzo e indigenza ci accompagnano in questo racconto che è tutto un faticoso percorso lungo la via difficile della vita, contro cui Dickens, come rimedio, ci propone utopie natalizie nelle quali i malvagi si pentono e i ricchi diventano misericordiosi, trasformando così il macabro paesaggio della povera Inghilterra di fine 800, in un incantevole scenario dove l’amore e la pace fanno da cornice a gente che, proprio a natale, ritrova la dimensione della vita come dovrebbe essere, quella che ti compensa delle mancanze e delle ingiustizie e ti dona ciò che hai meritato.
Gli vengono in aiuto fate, folletti o, come in questo caso, fantasmi, per arrivare al lieto fine consumato su una tavola abbondante di cibo, tra persone felici, camini scoppiettanti e candele accese, rallegrati dal suono delle campane, mentre fuori tutto è nel silenzio irreale della neve.
“L’antico campanile della chiesa batteva le ore con una tremula vibrazione, come se lassù nella sua testa gelata, le battessero i denti. Il freddo divenne intenso. Nella strada alcuni operai avevano acceso un fuoco, attorno al quale un gruppo di bambini laceri si era raccolto per scaldarsi le mani. Lord Mayor, nel suo palazzo, diede ordini ai suoi cuochi di preparare il Natale come di dovere, il piccolo sarto rimestava, nella sua misera soffitta, il pudding per il giorno dopo “
Il racconto esordisce con la descrizione del personaggio principale che è Scrooge, un uomo solo, dedito al lavoro e all’accumulo di denaro per soddisfare la sua insaziabile avariazia, tanto da scansare ogni cosa possa rallegrare la sua vita, se questa comporta una spesa. Ovviamente per lui il Natale è soltanto una festa futile e stupidamente dispendiosa, pertanto non permette al suo impiegato di goderselo come giorno di vacanza, né a se stesso di festeggiare con il suo unico nipote poiché questo comporterebbe l’acquisto del tacchino da mangiare a pranzo.
“Era un uomo duro e aspro, senza mai una scintilla di fuoco generoso. Il freddo che aveva dentro, congelava i suoi vecchi lineamenti, gli pungeva il naso aguzzo, gli faceva diventare rossi gli occhi e violacee le labbra sottili. Nessuno lo fermava mai per strada, non c’era mendicante che lo implorasse. Perfino i cani dei ciechi, quando lo vedevano arrivare, trascinavano i loro padroni in un portone o in un cortile”
La sua unica amica? La cassaforte. Dialogo e passione c’era tra loro ormai da decenni.
E venne il giorno di natale. Il nipote lo lascia alla sua solitudine dopo un inutile tentativo di averlo a pranzo, e il contabile a fine giornata si precipita dalla sua famiglia, umile e bisognosa ma unita dall’amore e dal dolore di un figlio ammalato che lo attende per scaldarlo con un piccolo braciere acceso, sapendo bene che sciarpa, cappello e guanti non sono bastati a coprirlo dal freddo durante le ore di lavoro.
Come farà Dickens a salvare Scrooge ? Con l’apparizione del fantasma del suo socio Marley, deceduto anni prima, avaro come lui, che gli fa vedere come vivono in eterno gli avari : condannati a trasportare pesanti catene. Ma non basta, Dickens resuscita altri tre fantasmi.
Il primo è quello dei Natali passati, che fa ritornare Scrooge ai bei ricordi delle feste trascorse in famiglia ; il secondo è quello del Natale presente, che gli fa vedere come vivranno male il Natale tutte le persone che lui sfrutta, maltratta, denigra, che lui impoverisce con l’usura ; il terzo è quello del Natale futuro, che gli fa vedere la sua morte e come tutti tirano un sospiro di sollievo e addirittura festeggiano, tanto si era fatto odiare in vita. Piene di gioia di sollievo sono le pagine in cui Dickens descrive gli abitanti che, all’annuncio della morte del vecchio usuraio, escono per strada cantando e ballando, abbracciandosi e ridendo come non avevano mai fatto.
Finisce così questa inverosimile e fantasiosa notte, e Scrooge si sveglia che è Natale.
E’ ancora in tempo a cambiare tutto, e lo fa. Cancella dal suo taccuino i nomi dei suoi debitori, accende luci e camino, compra il miglior tacchino ancora rimasto e va a festeggiare a casa del nipote, brindando alla sua nuova vita, felice del grande gesto di pentimento che prima aveva compiuto: aveva mandato a casa del suo contabile la somma di denaro necessaria per far operare e salvare il suo bimbo ammalato.
Questo must della letteratura inglese non può mancare nelle nostre riletture natalizie ed è da affiancare alla centesima visione del “ Natale in casa Cupiello “ mentre aspettiamo di consumare il nostro cenone di Natale. Ci occorrono per ritrovare la speranza là dove, se e quando l’abbiamo perduta, per continuare a credere che le favole a volte possono realizzarsi, che il cattivo si pente e che il giusto riceve giustizia. Dovremmo tornare bambini, ingenui quindi come loro ?
Si, a natale possiamo e forse dobbiamo, con Dickens sarà più facile.